Noi siamo come creature

di nebbia

in fuga dallo stupro

della vita, mostri

che irrorano petrolio

dal cuore emersi

da una fissità vermiglia

come polsi aperti

[dalla silloge Orizzonte della dimenticanza, in L’urlo barbarico (Le Mezzelane 2017)]

 

Se è vero, come scrive Alfredo Giuliani nella prefazione a I Novissimi, che una poesia è vitale quando ci spinge oltre i propri inevitabili limiti, quando cioè le cose che hanno ispirato le sue parole ci inducono il senso di altre cose e di altre parole provocando il nostro intervento; si deve poter profittare di una poesia come di un incontro un po’ fuori dall’ordinario, ebbene se è vero tutto ciò, allora i versi del giovane Antonio Merola meritano qualche minuto della nostra attenzione.

Una poesia materica e intimista la sua, che non si pone un problema di destinatari ma di contenuto, e che in questo senso può definirsi estremamente moderna per quanto la categoria della modernità si presti a continui fraintendimenti e abbia confini (sempre più) labili e incerti.

Una poesia filmica, ricca di simboli e richiami, nella quale l’autore – citando Christophe Corp, modella un divenire che decompone le certezze,  un divenire che segna la continua irruzione dell’irrequietudine (il mostro che ci ha inseguito ovunque; la puntigliosa assenza dell’avvenire) nella lenta e incessante irrimediabilità del vivere (cercava la musica del mare/come una speciale isola di bianchezza o schianto).

 
*
Ho provato a portarti lontano,
ma il mostro ci ha seguito ovunque
come a spaziare l’alberata in una grillaia:
sentiva l’odore del sole, tu piangevi
dietro a ogni angolo. Una lubricità
non bastava a nascondere la sfogliatura,
a scivolare altrove: avevamo paura
delle grandezze
come l’acqua dentro una fontana.
 
*
Nessuno ha mai aiutato il bambino
a scappare nella notte
per esaminare la puntigliosa assenza
dell’avvenire non è già troppo
per lui fingere di non ascoltare
la delizia esatta del denaro
o sopra la nidiata del pigargo rosso
come la disattenzione sopra la punta di un piede
a colmare un elefante in un negozio di cristallo.
 
*
Ti porterò fino alla fine della vita
per mano: e allora guarderemo il buio sorridendo.
Ci ho provato a lottare come una tigre
bianca contro l’uomo: e sono così stanco
di vincere sempre. Questa volta non voglio
competere ancora: ognuno di noi è senza difesa
fuori lo spirito e per la nostra immaginazione
è ora di andare: partiremo alla prossima alba.
 
*
l’unicità si dipanava lungo la steppa
come soli freddi o rovine
nella pioggia: la notte durava una volta
sola come di fronte a un nemico
che voleva mutilare l’origine comune
prima della disparità delle losanghe:
e allora chi giocava ancora per non essere scoperto
cercava la musica del mare
come una speciale isola di bianchezza o schianto.
 

Antonio Merola, classe 1994, è laureato in Lettere Moderne all’Università La Sapienza di Roma con una tesi sulla recezione della critica italiana rispetto all’opera di F. Scott Fitzgerald. Sue poesie inedite sono apparse su Atelier online, Poetarum Silva, Pageambiente, Euterpe, La Macchina Sognante e nel Poetico Diario (LietoColle 2017). Collabora o ha collaborato con Altri Animali, (Racconti Edizioni), Flanerì, Lavoro Culturale, Carmilla e Culturificio. È cofondatore di YAWP: giornale di letterature e filosofie, per il quale ha curato inoltre la raccolta poetica L’urlo barbarico (A. V., Le Mezzelane 2017).
Si occupa dei Quaderni Barbarici su Patria Letteratura. Ha pubblicato sotto pseudonimo assieme a Iuri Lombardi la raccolta di racconti Il Vice Presidente venne dopo sette secondi, (2016). Suoi racconti inediti sono apparsi su Carmilla, Cultora e Reader For Blind.

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