Poesia del nostro tempo presenta l’Archivio virtuale de L’Italia a pezzi. Antologia dei poeti italiani in dialetto e in altre lingue minoritarie.

Angela Bonanno è nata a Catania dove vive.
Nel 2003 ha esordito con una silloge di poesie in dialetto siciliano, Nuatri (Premio Salvo Basso per l’inedito, Edizioni Prova d’Autore).
Sempre per  Edizioni Prova d’Autore nel 2005 ha pubblicato Setti Viti comu i jatti.
Sue poesie sono contenute nelle antologie La comunità dei vulcani. Quaderno siculo-polacco di poesia (Edizioni GBM, 2006), nell’antologia Dedica d’amore (Edizioni Prova d’Autore, 2007), Voci di Sicilia (Giulio Perrone Editore, 2008) e Antologia della malata felice (Edizioni Forme-Libere, 2011).
Con l’Editrice Criluge Meridies ha pubblicato il poemetto Cu sapi quannu nel marzo 2007.
Per  l’Editrice Uni-Service (Trento) a marzo 2009 è uscitu il libro Amuri e Vàdditi con prefazione di Luigi Lo Cascio.
A maggio 2010 è stato pubblicato invece Dumani ti scrivu. poesia e teatro (GruppoTangram, Edizioni Forme-Libere).
Con la casa editrice Paso de barca digital, a gennaio 2012, ha pubblicato l’antologia in spagnolo, Dejadme en paz
Poemas escogitos.
Ha ricevuto il Premio Ercole Patti per la poesia nel 2008 ed è stata segnalata dalla giuria al Premio Brancati nel 2012.
Cura la collana di poesia Il Gheriglio per le Edizioni Forme-Libere.
dal poemetto cu sapi quannu (Criluge Meridies, 2007)
U ventu m’arriala
fogghi di giurnali
mi ci ammogghiu
u sapisturu
chi succiriu aieri
Su l’ottu
a genti nt’o munnu
s’ammazza e si nni futti
di mìa e d’o varveri
ma non di mìa pi mmìa
ma di mìa ca sugnu senza di tìa
Il vento mi regala / fogli di giornale / lo avete saputo / cosa è successo ieri // Sono le otto / la gente nel mondo / s’ammazza e se ne fotte / di me e del barbiere / ma non di me per me / ma di me che sono senza di te
Su’ l’ottu e n quartu
è scuru fittu
u celu è na cuperta
e non c’è luci di luna
i jatti sunu signali
n tettu na strata na stazioni
unni passari a notti
Chi notti carusi
pinzeri a munzeddi
pi non pinzari a nenti
su sulu sapissimu
chi farini di sta vita
Sono le otto e un quarto / è scuro fitto / il cielo è una coperta / e non c’è luce di luna / i gatti sono segnali/ un tetto una strada una stazione / dove passare la notte // Che notte ragazzi / pensieri a mucchi / per non pensare a niente / se solo sapessimo / che farne di questa vita
Questionario
1.La preghiamo di indicarci i modelli di riferimento (italiani e stranieri) della sua poesia dialettale, dove questi studi e letture l’hanno portata all’individuazione del suo stile.
Credo di non avere nessun modello di riferimento, ma di apprezzare la lettura di poeti che spaziano dal grande Franco Loi, partendo da Pasolini, per approdare ad un poeta misconosciuto che si chiama Federico Tavan. E poi i poeti di casa mia, Ignazio Buttitta e il precocemente perduto Salvo Basso. Ma anche tanti altri.
2. Ci sono differenze significative tra la sua produzione di poesia in dialetto e quella in italiano (se presente)?
Scrivo poco in italiano. Credo che la differenza consista solo nella lingua.
3. Con quali poeti contemporanei (dialettali, italiani, stranieri) intrattiene un dibattito costruttivo? Con quali ha semplicemente condiviso un percorso di gruppo (blog, riviste, associazioni) o di scambio di opere letterarie? Quali poeti italiani e/o dialettali l’hanno colpita di più?
Intrattengo dibattiti insieme ad amici, intorno ad un tavolo. Ognuno di noi regala agli altri i versi dei poeti italiani e stranieri. Non c’è un poeta che colpisce di più, talvolta un solo verso vale un’intera opera.
4. Quale l’immaginario o le immagini più diffuse, nella sua opera in dialetto? Ci sono differenze tra l’immaginario che usa in dialetto e quello delle sue opere in italiano o in prosa (se presenti)?
Le mie poesie in dialetto non passano attraverso il filtro della lingua italiana. Non c’è un immaginario ma la pancia, il sangue e la terra.
5. Quali teorie (estetiche, politiche, etiche, critiche, etc…) sono presenti all’interno della sua poetica? Il suo modo di lavorare a un’opera di poesia (il processo formativo che ha usato) è stato influenzato da queste teorie? Se sì, può descrivere anche le modificazioni della sua scrittura/operatività in poesia, in dialetto, nel corso degli anni?
Nessuna teoria. Il dialetto mi ha trovata. Io non mi siedo e scrivo. Quando la poesia decide che debba scrivere, ubbidisco. L’unico lavoro l’ho fatto sulla grafia, l’ho ripulita e semplificata. Dall’inizio non ho mai inserito titoli e punteggiatura, naturalmente.
6. Il suo modo di scrivere in dialetto è rappresentativo del parlato della sua area di appartenenza (paese, città, provincia, regione)? Quali le differenze con il parlato? Ha introdotto altre lingue/linguaggi/codici/segni nella sua opera in dialetto? Ha recuperato espressioni linguistiche arcaiche?
Credo di sì. Ogni tanto creo parole nuove e mi succede di recuperare parole desuete di
straordinaria bellezza.
7. In percentuale, quante persone pensa parlino in dialetto nella sua area di appartenenza (paese, città, provincia, regione)?
In città il dialetto si parla tra i ceti più bassi ma si intercala dappertutto.
8. La sua regione presenta leggi di tutela del dialetto o supporta le pubblicazioni in dialetto con qualche legge? E’ in grado di illustrare queste leggi (o dare i loro riferimenti)?
In Sicilia non credo ci sia una legge specifica che tuteli il dialetto. Ma singoli progetti vengono proposti nelle scuole.

 

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